Messo alle strette dal bisogno di attivarmi in questo periodo di quarantena, mi sono deciso ad effettuare un classico esperimento da manuale sul ritratto e sull’autoritratto: quello di investigare attraverso l'analisi di un ritratto facciale molto regolare le asimmetrie nel corpo. Un esperimento famoso, ripetuto da fotografi e ricercatori in varie parti del mondo che consente di indagare come ci vediamo, come ci presentiamo agli altri e in parte come ci vedono gli altri. Un’esperienza che può dirci molto anche su come guardiamo gli altri quando assumiamo un particolare punto di vista, quando li etichettiamo sulla base di una visione parziale non integrale. Un esperimento classico che però finora non avevo mai fatto su di me.

L’esercizio consiste essenzialmente nel fare una foto - un ritratto - molto regolare, quasi da fototessera istituzionale. Ecco alcune indicazioni raccolte qua e là a solo scopo indicativo: formato “ritratto”; il volto non ruotato del soggetto (devono essere visibili entrambi i lobi) deve essere contenuto interamente nell’immagine e centrato rispetto al riquadro in modo che l’altezza degli occhi sia grossolanamente al terzo superiore; la persona fotografata deve avere un’espressione neutra, tenere la bocca chiusa e guardare direttamente in macchina; gli occhi aperti debbono essere ben visibili; la messa a fuoco deve essere nitida. Si trovano poi altri dettagli tecnici orientati alle varie applicazioni della fototessera.

In questo ritratto si ricerca la linea di simmetria verticale del viso cioè una linea che attraversa il viso dalla sommità del capo fin sotto il mento e al meglio divide il viso in due parti percepite come uguali; questa linea viene utilizzata per ritagliare effettivamente la foto in due parti. Utilizzando i normali programmi di elaborazione delle fotografie l'operazione è piuttosto semplice, anche se non banalissima – alcuni programmi la rendono di più facile realizzazione. Bisogna eseguire questa operazione con una certa cura: duplicare l’immagine, tagliare l'immagine in modo abbastanza precisa in due parti lungo la linea di simmetria; ribaltare orizzontalmente una delle due parti e incollarla a fianco all’originale; si ottengono così due immagini di un viso ottenute dalla giustapposizione una volta della parte destra con la sua versione ribaltata a sinistra e una volta della parte sinistra ribaltata a destra. Potremmo così pensare di ottenere due volte una replica dell’immagine originale replicando specularmente una volta la parte destra e una volta la parte sinistra del volto.

Volendo, come esercizio preparatorio, si può provare prima con qualsiasi oggetto perfettamente simmetrico e della cui simmetria ci possiamo assicurare geometricamente: un cerchio disegnato su un foglio, un prezioso vaso, un piatto, insomma un qualsiasi manufatto che sia stato realizzato con accortezza con lo scopo di ottenere un oggetto simmetrico; lo si fotografa e poi si “opera” sulla foto come detto prima. Si dovrebbe riottenere la stessa immagine di partenza tanto più precisamente quanto più l’operazione è stata eseguita con cura.

Quando lo si fa con una foto del viso, già durante l’esecuzione dell'operazione, ci si accorge subito che il viso è tutt'altro che simmetrico: già individuare la linea di simmetria non è un'operazione banale e si finisce col dover fare alcuni compromessi spostandola a seconda di cosa si prende come riferimento per riuscire a tagliare l'immagine in due metà “uguali”. Ci si affida alle zone più vicine a quello che riteniamo l’asse di simmetria o si prende in generale una visione di insieme e si cerca di tagliare a metà l'area coperta dal viso? Insomma, ci sono varie scelte possibili ugualmente giustificabili percettivamente.

Un’altra cosa di cui ci si accorge, a guardare bene e poiché bisogna “giocare” con il ribaltamento speculare, è che, scattandoci un autoritratto o un selfie, le foto ottenute hanno un qualcosa di perturbante se confrontate con l’immagine allo specchio: nella foto non si vede ciò che si vede nello specchio, le foto sono invertite orizzontalmente rispetto allo specchio. Pensandoci un po’ si realizza che esse rappresentano o meglio vi propongono ciò che effettivamente vedono gli altri guardandoci e non quello che noi vediamo quando ci specchiamo. Nello specchio noi non ci vediamo come ci vedono gli altri: provate a farvi una foto e guardate questa foto mentre vi guardate allo specchio. Le due immagini sono l’una ribaltata rispetto all'altra e questo è già un’esperienza che ha un qualcosa di perturbante: quale delle due è la mia immagine? Ci vuole un po’ per capirlo. Un neo sulla mia narice destra mi ha aiutato ma davanti allo specchio l’ho dovuto toccare più di una volta con l’indice della mano destra per stabilizzarmi.

Comunque, ecco la foto che ho realizzato e che considero un buon autoritratto senza particolari pretese artistiche ma in cui mi riconosco pienamente: una buona rappresentazione del mio stato un po’ abbrutito in questo periodo di reclusione.

 

 

Da questa con un po’ di ulteriore post-processing per enfatizzare alcuni tratti ho ottenuto la seguente foto

 

 

e infine con ritaglio, ribaltamento e incollamento ho ottenuto le due foto seguenti

 

 

La prima rappresenta la replicazione speculare del lato sinistro e la seconda la replicazione speculare del lato destro. Impressionanti vero?

Possiamo dire che rappresentano il mio lato sinistro e il mio lato destro?

Due personaggi molto diversi. E io con quale mi riconosco meglio?