La parola può essere usata come un’arma; esistono degli schemi comunicativi, delle scelte di parole finalizzati ad avere il sopravvento in battaglie verbali.
Che esistono “atti comunicativi” decodificabili le teorie psicolinguistiche lo hanno spiegato già tempo fa e le realizzazioni di Intelligenza artificiale lo hanno dimostrato; ciononostante, che gli uomini li utilizzano quotidianamente con finalità di sopraffazione, di manipolazione e anche semplicemente per la rimozione dei problemi mi stupisce ancora, anzi oggi più di ieri.
Dopo aver provato su me stesso il potere terapeutico della parola e della narrazione, dopo aver cominciato a coltivare la “retta parola”, dopo aver imparato a praticare l’ascolto attivo con la rinuncia ad ogni consiglio e consolazione, rimango stupito quando mi accorgo che vengono tese trappole verbali, condotti attacchi, ritirate strategiche e affondi fatali con l’uso della parola.
Che rimane della possibilità di comunicare, di condividere informazioni, concetti  ed emozioni?
Quanto dobbiamo ancora imparare una comunicazione non violenta?

Riuscirò finalmente a fare silenzio, dentro di me?
Il silenzio crea la possibilità di ascolto, crea lo spazio interiore in cui accogliere l’interlocutore, uno spazio libero da pregiudizi, da proiezioni, desideri e avversioni. Forse il silenzio non è il primo modo con cui accogliere chi cerca aiuto ma è lo spazio da offrire senza giudizio a chi cerca aiuto e accompagnamento nel cammino di scoperta di se stesso, chi cerca accoglienza, curiosità e conoscenza anziché consiglio e prescrizione.
E il silenzio è il modo di accoglienza da rivolgere prima di tutti a se stessi. Fatto il silenzio possiamo finalmente imparare a rivolgere intenzionalmente l’attenzione alla nostra realtà fisica e spirituale, esteriore ed interiore, possiamo riconoscere ogni moto percettivo ed affettivo nella nostra vita. Fermare i pensieri, osservare desideri e avversioni, ricontattare l’immediatezza della vita nel corpo sono pratiche che costituiscono complessivamente quello spazio di pace in cui riposare; spazio  che cerchiamo e possiamo ritrovare con la meditazione.
Così impariamo anche a rivolgere un’attenzione purificata e chiara agli altri, liberi da simpatie e antipatie, empatizzando i loro moti interiori. Riconoscere consapevolmente i bisogni propri ed altrui non è forse la chiave della comunicazione e della relazione non violente?

(24 gennaio 2016)