Articoli sulla mindfulness
Reattività nei pensieri
Si possono sperimentare la reattività e i suoi effetti anche durante una singola sessione di pratica.
Supponiamo che nonostante il nostro impegno a sgomberare la mente, ci sediamo con un problema importante. Cominciamo con il concentrarci sul respiro, sul corpo e ci sembra di riuscire a gestire quella sottile e pervadente insoddisfazione con cui ci siamo seduti. Improvvisamente la mente sfugge via e va proprio lì sul problema dolente.
Se riusciamo ad intercettare subito, nel primo istante, questa fuga magari riusciamo a tornare alle sensazioni del corpo che respira. Ma se la mente comincia a vagare allora può portarci molto lontano. Possiamo ancora formulare l’augurio di accorgerci del fenomeno e, per quanto ci siamo allontanati, con un piccolo sforzo benevolo, torniamo al corpo e al respiro.
Ma il pensiero torna ancora; ci rendiamo conto che gli dobbiamo dedicare qualche investigazione e la pratica diventa difficile e impegnativa. Come in ogni intenso allenamento, perseverare può essere molto efficace. Prendiamo mentalmente nota di ogni andata e ritorno dell'attenzione e continuiamo la pratica; la portiamo fino al suo termine naturale segnato dal suono della campana. Notiamo l’importanza della campana.
Finita la pratica - ripeto, finita la pratica - possiamo anche riflettere un po’ sull'accaduto; Senza “raccontarcela troppo”, filosofeggiando e concettualizzando, ma magari per prepararci ad una possibile fase di condivisione sul sentire, sul vissuto.
Ci accorgiamo che tra le altre cose, può essersi verificata una di due alternative… o entrambe.
In una delle fughe della mente, il problema ci è apparso irrisolvibile; il pensiero, anticipando conseguenze, ha incominciato a generare scenari sempre più drammatici ed angoscianti. Ogni scena del film ne generava un'altra in un ciclo di amplificazione dell'angoscia. Intanto stavamo male; non volevamo star male ma continuando ad alimentare rabbia e paura la situazione peggiorava. Siamo rimasti agganciati a questo meccanismo fino a quando anche il corpo non si è ribellato, non ci ha dato un segnale: un dolore, un singhiozzo, oppure abbiamo sciolto la postura senza accorgercene oppure c'è mancato il respiro. Fortunatamente, a volte, il corpo interviene e comunque alla fine ci sarebbe stata la campana.
Oppure, al contrario, può essere che la mente ci abbia prospettato una soluzione (reale o illusoria che fosse) e noi invece di prenderne nota e tornare all'oggetto di pratica, ci siamo fidati, abbiamo seguito e abbiamo cominciato a raccontarci una storia sempre più piacevole, così piacevole che non era proprio possibile rinunciarvi anche se magari il filo della storia, a un certo punto, si era allontanato molto dal problema originario. Ci siamo persi nella storia e senza accorgercene siamo arrivati alla fine della pratica: è, di nuovo, la campana ad interrompere il nostro piacevole fantasticare. Non siamo stati molto presenti ma almeno, a posteriori, riusciamo a vedere come la soddisfazione, la piacevolezza di una soluzione “raccontata”, anche se non realistica ed efficace, ci abbia agganciato e ci siamo attaccati ad essa.
A questo punto possiamo farci qualche domanda:
- quante volte, nel quotidiano, ci troviamo a vivere uno di questi due scenari? Quante volte prendiamo decisioni anche importanti senza renderci conto che sono basate su un racconto illusorio?
- cosa distingue un racconto illusorio da un ragionamento razionale (e non sto dicendo di ignorare gli aspetti emotivi: le emozioni hanno una loro razionalità)
- i pensieri, durante la pratica, sono distrazioni e quindi vanno studiati non nel loro contenuto ma nel loro processo (sorgono, si sviluppano e si articolano, infine svaniscono) e nella loro struttura (singoli pensieri, ragionamenti, immagini cioè accumulazioni di pensieri, narrazioni, durata, grado di piacevolezza e spiacevolezza, emotività e, soprattutto, correlati fisici). I pensieri provocano emozioni e le emozioni hanno correlati fisici.
- durante la pratica, quando la mente divaga, il corpo può venirci in soccorso proponendoci improvvisi ma intensi distrattori fisici; d’altro canto, se teniamo il corpo immobile anche la mente si placa
- lo spiacevole provoca un moto di rifiuto alimentato da paura e rabbia che rende la situazione ancora più spiacevole, al limite pericolosa (si tratta di una situazione di avversione)
- il piacevole al contrario chiede di essere continuato; gli ci attacchiamo perdendo la presenza mentale, presenza alla realtà, a noi stessi e agli altri (siamo in preda al desiderio)
- notiamo l’importanza della campana e proviamo ad immaginare come possiamo trovare “campane di consapevolezza” da utilizzare nel quotidiano
- abbiamo incontrato così due ostacoli l'avversione e il desiderio a cui la tradizione dice che possiamo opporre due aiutanti saggezza e mindfulness.