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La Ferrari di Don Adamo

ovvero

Cause e condizioni

 

Più di 40 anni fa, al primo anno di liceo, il mio insegnante di religione contestava a me, studente un po' saputello e fiero dell'orientamento scientifico della sua scelta scolastica, la legge della conservazione dell'energia con un'altra legge fondamentale che chiamava legge della degradazione dell'energia. Sosteneva che l'energia una volta spesa non poteva essere più recuperata perché era passata in una forma meno nobile e spiegava questo fatto - che allora non capii - dicendo che spontaneamente la natura non era in grado di creare un mondo significativo e ordinato. Cercava di illustrare la sua posizione con una storiella:

Un gruppo di ricercatori parte per esplorare una regione desertica finora mai raggiunta da essere umano. Procedendo con fatica e scavando un passaggio nel fianco roccioso e compatto di una montagna, improvvisamente si ritrovano in una larga caverna; illuminano l'interno e, con grande stupore, scoprono al centro della caverna una fiammante Ferrari rossa. Una simile scoperta non può che dimostrare che quelle regioni non sono rimaste veramente inesplorate ma che sono state già raggiunte dall'uomo. Infatti, nessuno potrebbe ipotizzare che quella meraviglia tecnologica si sia creata spontaneamente per casuali aggregazione di particelle, atomi e molecole dei diversi materiali costituenti le diverse parti della macchina.

Allora - concludeva il mio buon maestro - perché mai dovremmo pensare che il mondo complesso e perfetto così come lo conosciamo debba essere frutto di un casuale aggregarsi e disgregarsi di elementi naturali? A modo suo e con finalità più che evidenti mi stava introducendo alla legge dell'entropia, al secondo principio della termodinamica; ma questo lo scoprii molto più tardi nelle interminabili discussioni in preparazione degli esami del corso di laurea in Fisica

Dopo tanti anni, dopo tanto tempo, seguendo l'ordine del tempo, mi ritrovo ancora davanti al secondo principio seguendo questa splendida meditazione guidata sulla in-sostanzialità offertaci, suo malgrado, da Carlo Rovelli con il suo nuovo libro L'ordine del tempo[i]. Dico suo malgrado perché il libro - come già le Sette brevi lezioni di fisica[ii] e Il mondo non è come appare[iii] - è pervaso da un'arroganza intellettualistica che non lo accredita certo come un monaco silente e che tanto mi irrita. Ma con quella arroganza è bene che io faccia pace perché è proprio grazie ad essa che Rovelli e altri ricercatori come lui riescono a lanciarsi alla ricerca (forse vana) delle realtà ultima e a rendere pagine di grande bellezza e poesia.

Il secondo principio dice che in un processo isolato l'entropia (la quantità di calore scambiato ad una data temperatura) non decresce. In altri termini: non tutta l’energia utilizzata in un processo può essere riutilizzata o anche che non tutti i processi possono tornare indietro. In un processo fisico, l’energia né si crea né si distrugge ma l’energia si trasforma (passa in diverse forme); una di queste forme è il calore che non si riesce a far tornare completamente indietro. L'autore sostiene che questa è l'unica legge fisica che giustifichi la direzione del tempo. Stabilisce un senso nell'evoluzione di un processo isolato; questo senso è tale che il calore passa da un corpo caldo a un corpo freddo e mai viceversa. Questo passaggio di calore è all'origine della nostra percezione del passare del tempo.

Il calore è dato dall'agitazione microscopica di atomi e molecole e questo agitarsi mescola tutte le particelle in moto in un liquido caldo con quelle di un liquido freddo quando i due liquidi entrano in contatto. Le particelle calde e agitate si scontrano con quelle fredde e più calme (lente) e ne aumentano il moto: così il liquido caldo si raffredda e quello freddo si riscalda. E' allora possibile distinguere un prima e un dopo: prima c'erano due quantità di liquido, una calda e una fredda; poi c'è un solo liquido ad una sola temperatura intermedia. E non c'è alcun modo di tornare indietro. L'agitarsi delle particelle aumenta il disordine; il tempo scorre; l'entropia aumenta. Quindi originariamente il mondo doveva essere molto ordinato e molto speciale, a bassa entropia, per evolvere verso stati più disordinati ad alta entropia. Originariamente il mondo era in uno stato molto speciale… così tanto speciale da potere essere confrontato quanto a "specialità" (a "peculiarità" come dice Rovelli) con la Ferrari di Don Adamo? Beh forse l'Universo può essere considerato tuttora più complesso di una Ferrari: non fosse altro perché la Ferrari l'abbiamo costruita noi e ne conosciamo ogni dettaglio (per lo meno, chi l'ha progettata, realizzata e guidata) mentre dell'Universo conosciamo ancora così poco e esso ci sembra a volte incomprensibile.

Rovelli illustra il problema con un mazzo di carte[iv]:

"Prendete un mazzo di 12 carte, 6 rosse e 6 nere. Ordinatelo con le 6 carte rosse davanti. Mescolate un po' e poi cercate le carte nere finite tra le prime 6 nel mescolare. Prima di mescolare non ce n'è nessuna; mescolando, crescono. E' un esempio minimo di crescita dell'entropia. All'inizio del gioco, il numero di carte nere fra le prime 6 è zero (l'entropia è bassa) perché il gioco è iniziato in una configurazione speciale.

Ma facciamo un gioco diverso. Mescolate le carte in modo arbitrario, poi guardate le prime 6 carte del mazzo e imparatele a memoria. Mescolate un po' e poi cercate altre carte finite fra le prime 6. All'inizio non ce n'era nessuna, poi questo numero cresce, come prima, e come l'entropia. Ma c'è una differenza cruciale rispetto al caso precedente: all'inizio le carte erano in una configurazione qualunque. Siete voi che le avete dichiarate particolari, vedendole davanti al mazzo all'inizio del gioco".

Abbiamo trovato una Ferrari nel deserto e l’abbiamo dichiarata speciale!

Comunque quella Ferrari nel deserto, in qualsiasi modo ci sia arrivata, è destinata a decomporsi con il passare del tempo; per quanto lungo sarà, ci sarà un tempo in cui quella Ferrari sarà ridotta ad un ammasso di ferraglia arrugginita, travolta da fenomeni atmosferici, geologici, astronomici e tornerà infine nel grande agitarsi di particelle.

Il tempo si manifesta quando osserviamo un sistema disordinarsi: passare da uno stato a cui diamo significato ad uno che ci appare senza significato[1].

Don Adamo voleva vedere in questo un disegno che facesse anelare l'uomo ad un Significato più alto; Rovelli no. Rovelli sostiene che è la nostra incapacità di valutare compiutamente tutti i parametri che cambiano durante l'evoluzione del mondo a far si che certe configurazioni del mondo ci appaiano "speciali".

"Tra noi e il resto del mondo ci sono interazioni fisiche. Ovviamente non tutte le variabili del mondo interagiscono con noi o con il pezzo di mondo a cui apparteniamo […] Per questo configurazioni distinte del mondo sono per noi equivalenti".

Rovelli dice "ovviamente"; a mio avviso non è così ovvio. Sarebbe bene introdurre con maggior cura questa sorta di “interdipendenza parziale” che ha forse ragioni intuitive come la distanza con corpi celesti lontani e la conseguente debolezza dei segnali elettromagnetici che da tali corpi arrivano fino a noi. Ma Rovelli sembra intendere ragioni più profonde. Noi e la parte del mondo di cui facciamo parte interagiamo attraverso parametri che costituiscono un sottoinsieme di tutte le variabili ipotizzabili: la posizione del sole rispetto alle costellazioni non influisce sulla vita degli umani con buona pace dell'astrologia; l'attrazione lunare influenza le maree ma non ha effetti economicamente rilevanti sulla imbottigliatura del vino; è a dir poco "difficile" ipotizzare e verificare che noi influenziamo con i nostri pensieri e le nostre parole i cristalli di ghiaccio. Così la nostra vita non è influenzata da velocità e posizioni delle singole molecole di acqua contenute nel bicchiere che tengo in mano anche se velocità e posizione della totalità delle molecole di acqua contenute nel bicchiere che tengo in mano ne determinano la temperatura e questo sì influenza la mia vita… la possibilità o l'impossibilità (o anche il piacere o il fastidio) di bere quel bicchiere di acqua. Un'immagine interessante mi è stata fornita da un maestro ZEN: giorno di fiera, in una grande piazza affollata, si svolge una grande spettacolo di giocolieri e funamboli. Gli artisti di strada si sono distribuiti in tutta la piazza e hanno creato degli spazi, dei cerchi di vuoto nella folla per potersi esibire. Da nessuna posizione nella piazza è possibile vedere tutto lo spettacolo di tutti gli artisti contemporaneamente; i vari artisti si vedono a seconda dell'aprirsi e del richiudersi della folla, a seconda del nostro passeggiare, della direzione del nostro sguardo, del nostro avvicinarci e allontanarci dalle diverse postazioni. Aggiungerei se un giocoliere lancia una pallina al di sopra delle teste della folla verso un altro giocoliere piuttosto distante non è detto che riusciamo a vedere il secondo, il terzo o il quarto giocoliere; vediamo solo, e a tratti, il giocoliere che lancia la palla e non riusciamo dalla nostra posizione a valutare quelle piccole differenze di postura e di forza che ci indicherebbero diversi destinatari: vediamo solo un uomo variopinto vestito che lancia una palla. Il gesto si ripete uguale ogni volta che cambia compagno di gioco.

"Per questo configurazioni distinte del mondo sono per noi equivalenti".

Quindi è abbastanza plausibile che ci siano sottoinsiemi dell'Universo che non riusciamo completamente a vedere e di questi sottoinsiemi possiamo vedere solo alcune configurazioni che possono apparire a noi molto ordinate e quindi a bassa entropia.

I parametri realmente significativi per me da un punto di vista fisico definiscono uno spazio; i valori assunti da questi parametri definiscono una posizione in questo spazio e rappresentano il mio stato (sono qui, seduto, ho questa temperatura corporea, il mio ventricolo cardiaco destro è contratto (o rilassato), la mia corteccia cerebrale ha un certo grado di attivazione, il sangue nel mio cervello contiene una certa quantità di ossigeno e così via); i cambiamenti, l'evoluzione, i valori assunti da questi parametri in QUESTO ALTRO MOMENTO definiscono un'altra posizione in questo spazio e rappresentano un altro mio stato. Questo spazio è molto complesso, fatto di dimensioni non completamente misurabili e fortemente correlate perché rappresentano anche il mio sentire, le mie emozioni, il mio pensare: come si rappresenta in questo spazio lo strano senso di spaesamento e di eccitazione che sto provando mentre formulo questo pensiero e lo trascrivo in questo file battendo sulla tastiera di questo computer? L'evoluzione dei valori di tutti questi parametri, fisici e non, costituiscono degli insiemi di punti in questo spazio, dei "luoghi geometrici", delle traiettorie… traiettorie che a volte sembrano andare a caso, magari invece si confinano in una porzione di spazio limitato e ciclano come se i punti fossero "attratti" in certe figure oppure schizzano verso regioni in cui… compaiono altri parametri e anche lo spazio cambia dimensioni.

Cambia lo spazio? Interagiamo con nuovi parametri? Quando? Per esempio quando compare nella nostra vita un nuovo amore, nasce un figlio, perdiamo una persona cara… quando ci ammaliamo, quando perdiamo una parte del nostro corpo, quando una facoltà che prima avevamo si affievolisce e ci costringe a rivedere le nostre aspettative, a mettere in campo facoltà altre… quando la nostra mente ci porta in regioni dove gli altri non possono e non vogliono seguirci… quando moriamo. Le relazioni che tessono la rete in cui siamo immersi ridefiniscono continuamente questa rete; ne cambiano la trama, i pieni e i vuoti, i colori e le forme… la rete si muove, "schiumeggia".

Lo spazio in cui viviamo ė quindi uno spazio molto complesso di cui lo spazio-tempo della Fisica è solo un aspetto. Le dimensioni di questo spazio sono quelle dello spazio-tempo a cui si aggiungono quelle del corpo, della mente, i fattori di consapevolezza, i geni, gli schemi mentali. E' uno spazio multidimensionale, non euclideo e non ortogonale: le dimensioni di questo spazio non sono indipendenti e non riusciamo a darne una descrizione migliore. In questo spazio ci sono tutti gli stati che noi possiamo assumere: si tratta di uno spazio di stati che definisce "cause e condizioni" delle nostre vite e in cui le nostre vite si svolgono come traiettorie.

La nostra vita è una traiettoria in questo spazio; il nostro sé è il puntino che percorre questa traiettoria passando da uno stato all'altro; può anche capitare che le traiettorie si avviluppano, si ripetono, sembrano attratte da alcune forme: si ricreano esattamente condizioni già verificate che causano esattamente le stesse evoluzioni. Mi piace immaginare in questi "strani attrattori" le nostre coazioni a ripetere. A questo punto la questione è quanto siamo liberi in questo spazio? Quali e quanti gradi di libertà sono possibili? E' possibile che le cause e condizioni non si ripetano esattamente all'infinito? Possiamo ritrovarci davanti ad un problema che abbiamo già sbagliato a risolvere e non applicare la stessa risoluzione sbagliata?

Cosa direbbe un insegnante di scuola? Bisogna studiare; bisogna applicarsi di più. Ebbene per quanto mi roda ammetterlo, è proprio così. Soltanto che in questo caso non si tratta di imparare bene il teorema di Pitagora, non si tratta di riconoscere cosa è un triangolo rettangolo a cui applicare il teorema di Pitagora, non si tratta di applicare correttamente il teorema di Pitagora ma si tratta soprattutto di capire se la nostra vita non si trovi in una configurazione, uno stato in cui si può non applicare il teorema di Pitagora; si tratta di osservare lo stato in cui ci troviamo e magari notare finalmente che NON è di Pitagora che abbiamo bisogno e quindi lasciarlo andare, fare spazio: lasciare che lo stato osservato manifesti meglio i parametri che lo caratterizzano (potrebbe non trattarsi di triangoli, angoli retti, cateti ed ipotenuse). Tra questi parametri, tra le dimensioni che improvvisamente si manifestano e si dispiegano dinnanzi a noi c'è il coraggio, la determinazione, l'accettazione, la curiosità e magari quegli stati mentali che fanno stare bene.

La mindfulness, per me, intesa come presenza mentale, può consentirci gradi di libertà in questo spazio. La mindfulness può consentirci di essere un sistema che ha più informazioni sul suo stesso stato e un sistema diverso da quello senza informazioni. Non so dire quanto liberi siamo di andare in cerca di queste informazioni e quindi di alterare lo spazio in cui ci muoviamo ma comunque ci muoviamo in uno spazio più complesso di quello in cui ci muoveremmo senza consapevolezza.

La comunicazione è evidentemente coinvolta in questa visione perché componente essenziale dell'interazione con gli altri. Si tratta di una visione complessa in cui, con Gregory Bateson[v], sono rappresentate le interazioni intra-sistemiche e extra-sistemiche.

 

Il sistema (un sistema artificiale, un'organizzazione, una struttura naturale o anche un essere vivente), tratteggiato in figura, risulta essere un sistema semi-aperto[2] che mantiene una sua integrità organizzativa e interagisce dal punto di vista energetico e informativo con l'ambiente: lo influenza ed è, a sua volta, influenzato dall'ambiente che agisce direttamente su di esso o gli fornisce informazioni per ulteriori elaborazioni. In questa visione cause ed effetti si concatenano condizionandosi reciprocamente.

Il sistema così immerso nelle sue relazioni si definisce e qualora si tratti di un essere umano costruisce la sua identità.

Quando parliamo non possiamo fare a meno di farlo a partire dalle esperienze individuali e relazionali che ci hanno plasmato e che hanno costruito il nostro modello del mondo. In questo modello del mondo si sviluppa anche la convinzione che questo modello sia oggettivo: la rappresentazione comprende anche la proposizione che la rappresentazione è oggettiva, corrisponde esattamente alla realtà così come è. Tendiamo a non vedere che sempre di rappresentazione si tratta: il famoso problema "della mappa e del territorio". In questo momento della mia vita[3] non mi sembra particolarmente interessante risolvere questo problema… non sento che io abbia accesso alla realtà in sé e non sento come prioritario il problema di stabilire quanto esattamente la mia mappa corrisponda alla realtà; confido comunque che ne sia una buona approssimazione… approssimazione che risente di "cause e condizioni". Non so se la realtà "assoluta" esista, dove sia e come raggiungerla e ricercarla non è al centro dei miei interessi. Il mio vissuto invece, quello sì, “sente” cause e condizioni.

Quindi quando parliamo non possiamo fare a meno di parlare da un punto di vista soggettivo nonostante gli sforzi che possiamo fare per cogliere, rappresentare internamente ed esprimere una qualche realtà oggettiva. Inoltre nel nostro parlare intervengono anche fattori costituzionali che hanno programmato il nostro sviluppo, lo sviluppo del sostrato fisico del nostro sentire corporeo ed emotivo, della nostra strutturazione cognitiva: sto pensando ai condizionamenti genetici, alle relazioni primarie, alle esperienze traumatiche e felici dell'infanzia, alle esplorazioni, a volte drammatiche, dell'adolescenza, e via dicendo… Possiamo parlare di comunicazione condizionata.

Quando parliamo, come in qualsiasi altro comportamento, esplicitiamo chi siamo al di là dei contenuti che ci proponiamo di trasmettere. Come in qualsiasi altro comportamento: quando scattiamo una fotografia o realizziamo qualsiasi altro manufatto, quando svolgiamo un compito e… quando ascoltiamo, l'altra faccia della comunicazione. Quando ascoltiamo mobilitiamo tutto la nostra mappa mentale precostituita, i nostri pre-giudizi ed ecco la ragione dell'esortazione ad ascoltare con mente da principiante (Suzuki Roshi), senza pregiudizi (Torralba), cambiando punto di vista (Sclavi) o adottando il cosiddetto "ascolto attivo" (Rogers). Quando Suzuki Roshi dice che ascoltando gli altri in realtà ascoltiamo noi stessi, le nostre convinzioni, le nostre conoscenze, i nostri pregiudizi e se ciò che udiamo non corrisponde allora neppure ascoltiamo[vi], dice qualcosa di simile a ciò che dice Rogers quando dice che rifiutiamo della realtà e non riusciamo a simbolizzare ciò che non corrisponde alla nostra personalità.

Ecco anche la ragione per cui quando vogliamo ascoltare profondamente una persona non è particolarmente significativo limitarci a valutare il contenuto espresso verbalmente né è particolarmente utile valutare la coerenza logica/razionale perché nella costruzione del messaggio intervengono fattori irrazionali e non controllati. Meglio accettare quello che viene detto così com'è e cercare di "sentire" o leggere in modo non verbale tutto il vissuto che il comportamento di chi parla ci sta trasmettendo.

In qualche modo noi entriamo in relazione e ci specchiamo nella realtà che ci circonda; entriamo in relazione con oggetti e persone con modalità che "scegliamo" o che riteniamo di scegliere; queste modalità ci vengono da quanto abbiamo "imparato" e si modificano sulla base delle nostre interazioni con il mondo che ci circonda. Inoltre in questa interazione continua ci sembra di permanere, di controllare quanto avviene, ci sembra di essere soggetti attivi, giudicanti, valutanti e agenti verso obiettivi da realizzare. "Del resto, chi pensando a sé non direbbe che è certo dalla privatezza dei propri pensieri (privatezza), che avverte le proprie esperienze unite tra loro da un senso continuativo di sé (unitarietà) e che si sente sempre se stesso nelle differenti situazioni quotidiane (continuità)?"[vii] L'interazione con il mondo ci definisce, fa di noi quello che siamo e noi ci vediamo attraverso l'effetto che abbiamo sul mondo che come uno specchio ci rimanda una immagine in cui ci riconosciamo nel bene e nel male. I nostri pensieri, le nostre decisioni e le nostre azioni trovano motivazione, energia e realizzazione in combinazioni di emozioni, atteggiamenti e configurazioni concettuali che nel loro complesso chiamiamo stati mentali; essere consapevoli di questi stati mentali significa - per dirla con Edoardo Giusti[viii] - "sentire i propri movimenti interni, le sensazioni, i sentimenti che emergono, dirigere l'attenzione sui propri bisogni nel momento presente". L'esperienza del momento presente è l'unico strumento per lo studio del Sé[ix]

E quando Rovelli si chiede cosa è un essere umano, risponde[x]

“Certo non è una cosa: è un processo complesso, in cui, come nella nuvola sopra la montagna, entrano ed escono aria, cibo, informazioni, luce, parole, e così via... Un nodo di nodi in una rete di relazioni sociali, in una rete di processi chimici, in una rete di emozioni scambiate con i propri simili”.

All’inizio ho definito il libro di Rovelli una meditazione sulla insostanzialità… aggiungerei sull’impermanenza; sentite un po’ qua:

“Per molto tempo abbiamo cercato di comprendere il mondo in termini di una qualche sostanza primaria. Forse più di ogni altra disciplina, la fisica ha inseguito questa sostanza primaria. Ma più lo abbiamo studiato, meno il mondo sembra comprensibile in termini di qualcosa che è. Sembra essere molto meglio comprensibile in termini di relazioni tra accadimenti”.

e ancora[xi]

Tutta l’evoluzione della scienza indica che la miglior grammatica per pensare il mondo sia quella del cambiamento, non quella della permanenza. Dell’accadere, non dell’essere.

Si può pensare il mondo come costituito da cose. Di sostanza. Di enti. Di qualcosa che è. Che permane. Oppure pensare che il mondo sia costituito di eventi. Di accadimenti. Di processi. Di qualcosa che succede. Che non dura, che è in continuo trasformarsi. Che non permane nel tempo.

Pensare il mondo come un insieme di eventi, di processi, è il modo che ci permette di meglio coglierlo, comprenderlo, descriverlo. E’ l’unico modo compatibile con la relatività. Il mondo non è un insieme di cose, è un insieme di eventi.

La differenze fra cose e eventi è che le cose permangono nel tempo. Gli eventi hanno una durata limitata. Un prototipo di <<cosa>> è un sasso: possiamo chiederci dove sarà domani. Mentre un bacio è un <<evento>>. Non ha senso chiedersi dove sia andato il bacio domani. Il mondo è fatto di reti di baci, non di sassi.

A ben guardare, infatti, anche le <<cose>> che più sembrano <<cose>> non sono in fondo che lunghi eventi. Il sasso più solido, alla luce di quello che abbiamo imparato dalla chimica, dalla fisica, dalla mineralogia, dalla geologia, dalla psicologia, è in realtà un complesso vibrare di campi quantistici, un interagire momentaneo di forze, un processo che per un breve istante riesce a mantenersi in equilibrio simile a se stesso, prima di disgregarsi di nuovo in polvere, un capitolo effimero nella storia delle interazioni fra gli elementi del pianeta…

Il mondo esiste così come lo percepiamo in un dove e un quando estremamente limitati, nel qui e ora, nel momento presente.

 

 

P.S. Mi sembra interessante segnalare una riflessione di Carlo Rovelli pubblicata sul corriere.it l'8 dicembre 2017.



[1] … dalla nascita alla morte: tutte le religioni superano o cercano di superare la morte proponendola come un nuovo inizio.

[2] La definizione di sistemi aperti, semiaperti e chiusi sono essenziali nello studio dei sistemi fisici e mi piace vedere una visione unificante feconda che suggerisce di applicare il modello di Bateson a diverse tipologie di sistemi complessi (dalla cellula all'organismo, dalle menti alle aziende). Non possiamo tacere la necessità di rispettare la specificità delle situazioni a cui è applicabile con le più opportune caratterizzazioni scientifiche vale a dire costrutti misurabili e riproducibili.

[3]    "In questo momento della mia vita…"? È una posizione che risale ai miei anni giovanili e ricordo con tenerezza discussioni interminabili e infiammate con i compagni di studi di Fisica e Filosofia su una mia strana teoria della "scienza con i buchi" (ho sempre amato la groviera) secondo la quale la scienza, intesa come descrizione della natura (e non come intervento sulla natura), non sarebbe un edificio perfetto, stabile e consolidato ma con molte imperfezioni, parti oscure e buchi che continuamente gli scienziati, sacerdoti di un culto improbabile, cercano di rammendare per poi scoprire che tirando qua si strappa là. Eppure da quei buchi la scienza si alimenta, trae ulteriori sfide e di tanto in tanto l'edificio va riedificato perché proprio non ci si capisce più niente. Non sono mai stato un teorico e quindi non ho consolidato questa teoria ma ho l'impressione che altri l'abbiano fatto in modi assai profondi, a volte contradditori e continuamente sospettati di relativismo. Come se il relativismo fosse un reato



[i] Carlo Rovelli, L'ordine del tempo, Adelphi Editore, 2017

[ii] Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi Editore, 2014

[iii] Carlo Rovelli, Il mondo non è come appare. La struttura elementare delle cose. Cortina Editore, 2014

[iv] Cit 1, pagina 129

[v] J. Ruesch e G. Bateson, La matrice sociale della psichiatria, Il Mulino, Bologna 1976

[vi] Shunryu Suzuki, Mente zen, mente di principiante: conversazioni sulla meditazione e la pratica zen, Astrolabio Ubaldini, 1978, pagina 71

[vii] G. Arciero, G. Bondolfi, Sé, identità e stili di personalità. Bollati Boringhieri 2012, pagina 20

[viii] Edoardo Giusti, Lavorare con le emozioni

[ix] Cit. 7, pagina 22

[x] Cit 1, pagina 89

[xi] Cit. 1, pp. 86-88