Tell me what you find when you read my mind (2009)

Mi ritrovo spesso a pensare che la relazione è essenzialmente basata sull'interesse e non posso negare che detta così “suona male”. Eppure è da un pezzo che questo pensiero mi si ripropone e che progressivamente si sistema anche alla luce dell’esperienza continua di meditazione e di consapevolizzazione della profonda interrelazione esistenti  tra tutti gli esseri, senzienti e non, dell’Universo.
Se guardiamo i dizionari la parola viene ricondotta al verbo latino interesse «essere in mezzo; partecipare; importare», composto di inter «tra» e esse «essere»; cioè innanzitutto “essere”, “esserci”, “essere presente” e poi essere dentro, essere interrelati, essere nella relazione.
Sempre da un dotto dizionario si ricava la definizione di interesse come “esigenza stessa di ciò che appare atto a soddisfare i nostri bisogni” quindi una definizione orientata al vantaggio soggettivo ma al tempo stesso l'interesse richiama l'attenzione, porta l'attenzione su qualcosa o su qualcuno, permette di osservarlo, di valutarlo per il nostro vantaggio ma anche di accettarlo per quello che è, di prendersene cura. L'interesse può essere per i propri bisogni ma anche per i bisogni, i desideri, le caratteristiche, la storia degli altri... dell'altro, dell'interlocutore… perché in ultima analisi il vantaggio individuale si è evoluzionisticamente realizzato nella socialità.
Allora come l’interesse fonda e alimenta la relazione?
Possiamo comportarci come bambini e quindi ognuno è focalizzato su stesso, sul proprio interesse individuale, sul soddisfacimento dei propri bisogni e desideri. I bambini sembrano giocare insieme ma sono essenzialmente concentrati sul loro mondo egocentrico. La relazione è debole, esiste ma è fragile: non resiste alle difficoltà e neanche al tempo. E’ difficile che due o più interessi particolari corrispondano, si sovrappongono esattamente, si identifichino.
Intendiamoci anche gli adulti possono comportarsi da bambini: si tratta di una manifestazione della personalità.
Oppure possiamo avere l’interesse paternalistico (più o meno illuminato o più o meno autoritario) di chi sa come vanno le cose, sicuro di sapere quale sia anche l’interesse dell’altro oppure addirittura sappiamo che l’interesse che rappresentiamo, che strutturiamo (come l’interesse di una comunità, di un’organizzazione, di un’azienda,…) è superiore all’interesse del nostro singolo interlocutore. La relazione sarà allora basata sull’induzione di comportamenti virtuosi (paternalismo illuminato, libertario,…), sulla seduzione, fino anche sulla manipolazione (autoritarismo comunicativo) quando useremo ogni possibilità comunicativa affinché l’interesse particolare dell’interlocutore si fonda, si confonda e si identifichi con l’interesse superiore. Questi pattern relazionali li possiamo riconoscere sia nei rapporti tra individui, per esempio in una coppia, sia nei rapporti tra singolo e organizzazione, tra cittadino ed istituzioni, tra dipendente e azienda.
Sono pattern relazionali non necessariamente patologici anzi uno studio approfondito potrebbe andare a investigarne i confini e riconoscerli come possibili, contestualizzarli e prevedere comportamenti consequenziali.
Ma io sono affascinato da una visione relazionale in cui l’interesse, sempre al centro e fulcro della relazione, è spostato sul partner: la relazione si costruisce sull’interesse sincero per le emozioni, i pensieri, gli stati psicofisici del partner. Stare insieme perché curiosi di cosa lo stare insieme provoca, stimola e sviluppa in me stesso e nell’altro. “Stare insieme” può allora significare stare in un rapporto di coppia, stare in una relazione di aiuto, stare in un rapporto lavorativo.
E’ impensabile di stare romanticamente o anche familiarmente con chi non ha alcun interesse per me; come posso aiutare qualcuno i cui processi mentali, fisici ed emotivi non provocano in me alcun interesse se non la voglia di orientarli con consigli e precetti; come posso lavorare per chi persegue solo il proprio interesse economico, trascura i miei più elementari interessi individuali tra cui l’uso e la realizzazione della mia competenza. In questo ultimo caso l’unico interesse che mi potrà muovere è quello della soddisfazione dei bisogni primari che soddisferò con la prima alternativa che mi si proporrà.
Al contrario Rogers  scriveva nel 19621 “quando qualcuno capisce come sento e come penso di essere, senza volermi analizzare o giudicare, allora sento di potere, in una tale atmosfera, aprirmi a crescere.”



[1] Carl Rogers, La terapia centrata sul cliente, Giunti, 2013