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Dukka, la sofferenza, l’insoddisfazione diffusa, sottile, pervasiva nella vita dell’uomo è dovuta al non corrispondere degli eventi e del manifestarsi della vita ai desideri e ai progetti (desiderio + previsione + sforzo) della persona. L’immagine sapienziale è quello dello stridere e del consumarsi della ruota non ben allineata, non in asse con il mozzo: la ruota gira male e fa sobbalzare il carretto.

 

Gli esseri viventi tutti – e quindi gli uomini – sono impegnati, sia individualmente sia come specie, ad adattarsi al mondo che li circonda. Chiamiamo questo percorso evoluzione naturale, assimilazione, adattamento… o anche apprendimento, progresso. Gli uomini in particolare si sforzano – e caratterizzano la loro storia con tale sforzo – di piegare l’ambiente al loro disegno: osservano i propri bisogni (quando va bene, altrimenti li subiscono), reagiscono e magari ipotizzano misure e risposte che soddisfino tali bisogni, progettano azioni per implementare queste risposte (si danno obiettivi), ne predicono gli effetti su se stessi e sul contesto, agiscono, valutano i risultati di tali azioni rispetto al loro stato e magari anche rispetto alle predizioni; poi correggono ipotesi, progetti, azioni per massimizzare il soddisfacimento dei bisogni o per minimizzare l’errore di predizione. In altre parole nasce un progetto quando si diventa consapevole del bisogno, si desidera soddisfarlo, si predicono azioni ed effetti per ottenere tale soddisfacimento, si mobilitano risorse per agire e si agisce; poi bisogna valutare[1] i risultati dell’azione.

Uno sforzo eroico, “sovrumano”, per portare ordine nell’ambiente circostante; un ordine che, in ultimo, porti felicità. Ma il processo, nella migliore delle ipotesi, è soggetto a varie forme di imprecisione, di malformatezza, di approssimazione: il riconoscimento (potremmo dire l’individuazione e la categorizzazione) dei bisogni è tutt’altro che scontato, l’ipotizzazione delle risposte sarà uno sforzo creativo e, forse, premiante ma non necessariamente votato al successo: il processo si realizza in una iterazione di minimizzazione statistica dell’errore (rispetto al soddisfacimento del bisogno o rispetto alla predizione). Il successo non è necessario.

C’è uno scollamento tra lo sforzo e il risultato; c’è una sorta di attrito nel processo evolutivo; c’è attrito tra il progetto di vita e la vita stessa dell’individuo inesorabilmente votato alla morte.

C’è attrito. Come quello stesso attrito che in una trasformazione meccanica degrada l’energia e fa aumentare l’entropia. Anche gli uomini, come gli altri esseri viventi, sono soggetti al principio entropico nonostante gli sforzi su scale temporali limitate: successo e ricchezza ma anche imperi, opere d’arte e d’ingegno, la civiltà tutta sono i prodotti di questo sforzo. La morte “terminerà” successo e ricchezza dell’individuo. Imperi, arte, scienza e civiltà seguiranno inesorabilmente le leggi dettate a questa parte di universo.

Dukka deriva dall’illusione dell’uomo di portare ordine e significato in un ambiente che segue le leggi naturali e universali. Allora? C’è una possibilità di terminare questa sofferenza? C’è un modo? Qual è questo modo?

 



[1] Non deve passare inosservato che c’è una differenza nel valutare rispetto allo stato o rispetto alla predizione.